L’ascensore.



Mi trovo a New York per il matrimonio della figlia della mia migliore amica. L’ho vista nascere e sono stata la sua madrina al battesimo; ora mi ha chiesto di farle da testimone al matrimonio. Siamo arrivati tre giorni fa, io e mio marito. Siamo ospiti nell’appartamento della mia amica, che si trova al ventesimo piano di un palazzo, che ne ha circa una trentina. Certo, per me che abito in una villetta su due livelli, trovarsi a dormire così in alto, fa un certo effetto. Lei mi ha detto, che è solo questione di abitudine, poi, sopra di lei, iniziano i piani occupati prevalentemente da uffici, per cui, dopo le diciassette, lo stabile si svuota e regna la tranquillità più assoluta. Per il matrimonio è stato fatto quasi tutto, mancano solo alcuni dettagli: le prove in chiesa e quelle del vestito, avendo già provveduto a tutto il resto. Essendoci del tempo libero, ci stiamo godendo alcune giornate di vacanza, insieme ai due futuri sposi. Oggi il programma prevede che i maschietti se ne vadano a visitare un negozio specializzato in tecnologia elettronica, mentre noi donne ci recheremo nel negozio del pasticciere, giusto per definire gli ornamenti della torta nuziale, e, poi, massima libertà. Appena uscite, mi rendo conto di due cose: son vestita troppo pesante con gonna, calze autoreggenti, camicetta e giacchetto di renna, al punto da farmi sudare; poi, ho dimenticato il cellulare. La mia amica mi indica un palazzo, che si trova ad appena due isolati da noi.
«Vieni giù per questa via: fa con calma; tanto noi impiegheremo non meno di mezzora; se non ci trovi, chiama».
Detto questo, mi lascia le chiavi dell’appartamento e s’incammina con la figlia. Rientro, vedo l’ascensore che sta per chiudersi, mi affretto ed uno dei due uomini che son dentro, blocca le porte, consentendomi di entrare con loro.
«Grazie».
Poi mi correggo e lo ripeto in inglese. Mi ritrovo con un signore di circa quarant’anni, ben vestito. Capelli lunghi, tenuti legati dietro la nuca a coda, barba rasata corta. L’altro, anche lui in giacca e cravatta, sembra più giovane, forse sui trenta, con una ventiquattrore in mano. Digito il numero del mio piano, vedo che loro hanno già richiesto il ventinovesimo. Mi posiziono davanti a loro, gambe appena divaricate. Sicuramente i due mi scrutano, devo esser un bello spettacolo. Capelli neri mossi, che mi arrivano alle spalle, giacchetto di renna, gonna corta, calze nere, scarpe con circa otto centimetri di tacco. Il mio splendido culetto deve far la sua porca figura, sicuramente sono un bell’insieme da vedere. Le porte si chiudono, l’ascensore parte velocissimo, poi, di colpo, si blocca, perdo l’equilibrio, cado all’indietro addosso al signore più anziano, che, immediatamente, mi afferra con le braccia intorno alla vita. Buio totale. Fermi per alcuni secondi, immobili, senza capire cosa può esser successo. Sento il corpo del mio salvatore, aderire al mio. I muscoli duri del petto aderiscono alla mia schiena, oltre un bozzo consistente che preme sul solco delle natiche, mentre le mani, che prima mi avevano afferrato, ora risalgono veloci, fino ai miei seni, stringendoli con decisione. Sono sorpresa, ma, nello stesso tempo, lusingata da quel contatto. Una flebile luce si accende, ci separiamo. Il giovane si avvicina alla tastiera, schiaccia il pulsante di emergenza, ma non succede nulla, anzi, dopo pochi secondi, anche la luce di emergenza si spegne, ora siamo nel buio più totale. Cerco d’istinto, il mio cellulare, poi mi ricordo che l’ho lasciato in camera; i due bisbigliano qualcosa fra loro, che non capisco. Di nuovo le forti mani che mi hanno sorretto, mi cingono il corpo, sento scostare i capelli e calde labbra mi baciano sul collo, appena dietro la nuca: se c’è una cosa che mi fa impazzire, è sentirmi baciare lì.
Contemporaneamente anche il bozzo, che ora è diventato un magnifico palo duro, si schiaccia fra le mie chiappe. Sento un fremito di piacere invadere il mio corpo. L’altro, rapidamente si è inginocchiato davanti a me, ha risalito con le mani le cosce ed ha alzato la gonna fino alla vita.
«Wow…What beautiful legs!» (Wow … che belle gambe! )
Esclama, quando si rende conto, al solo tatto, che indosso autoreggenti con il reggicalze. Aggiunge, parlando all’altro, che son vestita in modo sexy. Mi abbassa lo string fino alle caviglie, mi fa alzare un piede per volta e lo toglie. Mi solleva la gamba destra fin sopra di lui, insinua la testa fra le mie cosce. Lo sento respirare, odorare la mia fica che già si bagna. Incomincia un gioco di lingua e labbra sconvolgente. Mi schiaccia il clito con il labbro superiore, mentre scorre la lingua dentro il solco della mia vulva, fino al forellino anale. Inizio a godere immediatamente, a quelle sollecitazioni. L’altro non è rimasto inattivo. Mi ha sbottonato due bottoni della camicetta, le sue mani si sono impossessate dei miei seni, che stringe, impasta. Mi tortura i capezzoli, procurandomi un piacere intenso che, sommato all’altro, mi porta in breve ad avere il primo orgasmo. Un gemito esce dalle mie labbra. Il giovane si rende subito conto di quanto stia già godendo. Incolla la sua bocca alla mia fica, raccoglie, insinuandovi la lingua dentro, tutto il succo che essa secerne. Sono scossa dal piacere che provo, sono due demoni: mi stanno letteralmente facendo impazzire. Sento il mio corpo tendersi, arrivare ad un nuovo piacere intenso, forte, che mi stordisce. Il giovane raccoglie anche questa mia ulteriore goduta, che gli scarico direttamente in bocca. Si alza e dice all’altro che sono pronta. Mi prende il viso fra le mani, mi fa piegare a novanta, fino a che le mie labbra, non incontrano il suo cazzo, già fuori dai pantaloni e teso. Lo prendo in bocca nello stesso istante in cui l’altro appoggia il suo alle labbra della mia vulva fradicia. Lo spennella alcune volte, su e giù, poi, d’improvviso, me lo infila in un sol colpo, secco, deciso, fino in fondo. Sento una grossa cappella che si apre la strada dentro di me. Raschia le pareti della mia vagina, colpisce con forza il fondo, sbattendo contro l’utero, provocandomi una scarica di piacere sconvolgente, che mi porta direttamente all’orgasmo. Devo appoggiarmi con le mani ai fianchi del giovane, per non cadere dalla spinta che ho ricevuto da dietro. Godo a bocca piena del cazzo che l’altro vi ha infilato dentro. Un lunghissimo gemito mi fa scuotere tutta. Loro restano fermi un secondo, poi cominciano a pompare all’impazzata. Quello davanti mi spinge il cazzo in bocca, fino a farlo sbattere contro l’ugola. L’altro estrae per metà la grossa verga, per poi infilarla dentro di colpo, fino in fondo, mandandomi ai pazzi per la provocata libidine. Godo, vengo e godo, finché sento quello davanti aumentare il ritmo. Si gonfia dentro di me e, come prevedo, m’inonda la bocca di sborra calda e densa. Mi incita, a mandarla giù, neanche vi fosse bisogno di dirlo. Ingoio, lecco, tutto quel nettare caldo, mentre non posso trattenermi dall’esternare un nuovo orgasmo: mi sfilo il cazzo di bocca e sento il mio corpo vibrare.
«Yes…sì …Vengo!»
Anche il mio secondo amante è pronto. Lo sento aumentare le pompate, più veloci, poi di colpo si sfila. Mi gira, mi fa inginocchiare e, con una mano sulla mia testa, mi porta la verga davanti al viso. Nonostante la mia bocca sia ampia, quasi non riesco a contenere il glande che mi spinge dentro. Lecco appena e subito un getto denso e caldo mi inonda la cavita orale; è buona, più densa dell’altro, più dolce. Bevo, succhio, ingoio fino all’ultima goccia. Resto qualche secondo in quella posizione, poi, di colpo, le luci si riaccendono, una voce dall’altoparlante si scusa per l’inconveniente. Ho appena il tempo di tirarmi giù la gonna e rimettermi in piedi. Il giovane, digita di nuovo i numeri dei piani sulla tastiera e l’ascensore riparte velocissimo, così da raggiungere il mio piano in pochi secondi. Le porte si aprono. Esco e, con passi malfermi, m’incammino verso la porta del mio appartamento, senza voltarmi. Apro e, appena dentro, mi appoggio alla porta. Sono sudata, sento caldo, chiudo gli occhi.

Con la mente, ripercorro quanto è appena accaduto: no, non ho sognato. In circa quindici minuti, son venuta quattro volte, ho bevuto due copiose sborrate, di cui sento ancora il sapore in bocca.
Decido di far una doccia veloce. Vado in camera mia e, mentre mi spoglio, mi accorgo di non aver più lo string. Faccio mente locale: deve essere stato il giovane a prenderlo, quando me l’ha tolto. Forse lo vuole come trofeo, a ricordo di questa strana avventura o, magari, per esibirlo come prova, quando racconterà il fatto ai suoi amici.
Sono eccitata al pensiero che altri maschi possano sbavare pensando a me.
Sorrido compiaciuta con me stessa, mentre l’acqua tiepida esce dalla griglia della doccia e lava il mio corpo.

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